Piazza di Siena, May Day ultimo Re d’Italia: da cavallo vincente a uno di famiglia

Piazza di Siena, May Day ultimo Re d’Italia: da cavallo vincente a uno di famiglia

di Daniela Cursi

Un campione azzurro senza successore: trionfa con Arnaldo Bologni nel’94 e con lui vive fino a 34 anni. E’ da ventidue anni che l’Italia cerca di vincere il Gran Premio Roma di Piazza di Siena.
L’ultima vittoria azzurra, infatti, risale al 1994 e porta la firma di Arnaldo Bologni in sella a May Day.
Nella storia del concorso di Villa Borghese, che quest’anno festeggia il suo 85° compleanno, sono state in tutto ventitré le vittorie italiane nella competizione clou a titolo individuale. In particolare, dal ’68 al ’73, per sei anni consecutivi, i cavalieri azzurri non hanno permesso a nessun concorrente straniero di “rubare” il trofeo più ambito. Un’eccellente competitività – quella dei Fratelli D’Inzeo, Graziano Mancinelli e Salvatore Danno – cui seguì un silenzio lungo 18 anni, fino alla vittoria di Bologni e May Day.
La storia del cavallo con il suo cavaliere ebbe inizio nel 1992: anno in cui questo piccolo grande atleta neozelandese, alto appena 1 metro e 65 al garrese, finì sotto la sella di Arnaldo Bologni. Due anni dopo, all’età di 15 anni, diventò il “Re di Roma”, o meglio, d’Italia, per poi essere ritirato dalle competizioni appena maggiorenne.
Ho avuto la fortuna di incontrare un cavallo genio – dichiara Bologni – lui era per me un amico dal cuore grande. Per questo motivo il mio circolo ippico porta il suo nome”.


Questo fuoriclasse si è spento all’età di 34 anni senza poter conoscere il suo successore azzurro nell’Albo d’Oro del Gran Premio Roma. Ha vissuto la sua vecchiaia come un animale domestico, libero di girare indisturbato per i prati e per i campi di lavoro del suo circolo a Reggio Emilia.
All’inizio – spiega Arnaldo Bologni – lo avevo messo al prato con altri cavalli anziani, ma non gli piaceva. Lo vedevo, giorno dopo giorno, restare in un angolo senza mangiare e allora ho deciso che non potevo organizzare per lui una pensione ordinaria. Da quel giorno ha cominciato a trascorrere le sue giornate all’insegna della libertà totale, con ogni confort a disposizione. Aveva il suo maniscalco, il suo veterinario e il suo oculista. E, soprattutto, non mancavano mai per lui le cose di cui andava più ghiotto: carote, biscotti e caramelle alla menta. La scuderia era sempre aperta e decideva lui se entrarci o no. Ci aspettava spesso nel cortile, oppure veniva a trovarci nel campo di lavoro mentre noi montavamo. Qualche volta lo trovavo davanti al van, allora lo facevo salire e facevamo un giro insieme. Gli piaceva a tal punto viaggiare che fino a 24 anni lo portavo con me in concorso a Cervia, quando ci restavo per due settimane in estate. Lalla Novo (la proprietaria, ndr) gli metteva a disposizione un box e un bellissimo prato”.
Quando è venuto a mancare, nel 2013, la scuderia ha perso un atleta formidabile, un personaggio storico, un mito sportivo. Ma May Day era prima di tutto un cavallo, come tale inconsapevole dell’emozione che aveva suscitato e delle conseguenze pratiche di quella vittoria.
Nella sua testa, mentre Bologni gli accarezzava la criniera durante l’Inno di Mameli, quello ero un giorno come un altro, al servizio del suo cavaliere.
Qualcuno potrebbe pensare che, dopo una vita così lunga e così felice, la sua scomparsa possa essere stata accettata con facilità. Che sia stato semplice prepararsi a questo dolore. Ma lui era May Day.

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