Fino a 7/8 anni fa gli sport equestri affidavano i rumors alle voci di corridoio. Dalle scuderie ai concorsi, dal sud al nord, le voci maligne (mai quelle “buone”), complici i cellulari, riuscivano a superare la velocità del suono. E allora il “malcapitato” passava per essere un donnaiolo, per poi diventare un pedofilo; un isterico a cavallo e poi un torturatore; un debitore prima e un ladro poi. Non gli sarebbe bastato salvare una mandria in pericolo, oppure donare tutti i suoi averi agli orfanotrofi d’Italia per bloccare questa vorace onda anomala.
La gente di cavalli vive e convive come su una grande barca, tollerandosi, collaborando o facendosi la guerra a priori. E’ solo una questione di scelte o di mentalità.
Con l’avvento dei social, al di là dell’immediatezza della notizia e tante altre utili svolte nella comunicazione privata o pubblica, quello che poteva essere un gossip fine a se stesso è stato dimenticato. Non più utile, non più divertente come poter riferire qualcosa all’orecchio di qualcuno confidando che nel passaparola, sarebbe sparita la fonte. Con i social, siamo passati al vero e proprio gossip strumentale, a fini praticamente politici, mascherati da “amore per lo sport”. E qui, il malcapitato è il presidente di turno.
Si creano fazioni, alcune pro e alcune contro, si comincia con il botta e risposta, fino a esaurire anche i più basici canoni dei rapporti umani. Si passa alle offese personali, trincerate sotto l’etichetta “libertà di opinione” e si denuncia il “sistema” appena si beccano una querela o una convocazione in procura federale. Poi ci si incontra, stringendosi la mano per la prima volta, e ci si vergogna. Ci si ridimensiona, o quantomeno, ci si prova. Per poco.
Quello che resta davvero inspiegabile è il cambio di rotta: persone che per mesi si insultano pubblicamente, arrivando quasi a perseguitarsi a vicenda, solo perché sono ai poli opposti, all’improvviso diventano amici, si scambiano pubblici elogi. Perché? Perché uno dei due è passato “dall’altra parte”, nella fazione che aveva combattuto. Libertà personale, per carità, ma la domanda sorge immediatamente spontanea: perché non rispettare le altrui opinioni? Semplice, perché l’italiano di un certo livello è fatto così: hanno amici appartenenti solo al loro gruppo politico, frequentano solo chi tifa la squadra del cuore, preferiscono unicamente chi gli da ragione. Facile no?
E’ una fotografia che ha dell’inquietante, soprattuto se condita da spietatezza e finta memoria del pesce rosso.
Per spietatezza si intende questo continuo pungolare i “perdenti” (quelli che tifavano per la dirigenza opposta) anche dopo la vittoria alle elezioni che viene vissuta, oltretutto, come la presa della Bastiglia. In questa accanita guerra, si difende il proprio e si offende l’altro, mettendo nel calderone anche dei poveri estranei. Il motto che va per la maggiore è “a casa!”. Ne vanno fieri, trascinati dalla scia grillina. La stessa scia che poi li porta ad avere la memoria del pesce rosso. Eh già, prima si analizzava l’impossibile, scandalizzandosi per ogni dettaglio, urlando a gran voce lo scandalo dell’omertà, strumentalizzando i casi di giustizia sportiva a proprio piacimento, in base “all’appartenenza del soggetto”. Poi, d’un tratto, una volta saltata la staccionata che porta a Viale Tiziano, il silenzio. All’improvviso ci vuole pazienza, comprensione e sportività. Di punto in bianco si richiama l’attenzione sull’importanza della coesione. Coesione, salvo dover rispondere a chi è rimasto dentro alla staccionata e riserva lo stesso trattamento vissuto precedentemente. Intolleranza? Forse. Ripicca? Può essere. Ma se sventoli un baluardo poi devi essere coerente e se tutto quello che accade o, peggio, non accade in Federazione prima era da denunciare e oggi è da comprendere, qualcosa non va. Come reagiscono allora, i neo-“potenti”? Con l’offesa. Come prima, più di prima. E con argomentazioni da dopo Derby: “te brucia? Usa la Fissan”.
Allora la domanda speciale è questa: non si poteva essere ragionevoli, comprensivi, solidali, coesi anche prima? Cosa c’è di diverso? Molto, possibilmente riassunto in una riga: incarichi, vicinanza al potere, benefit personali, mancanza di coerenza, assenza di coscienza.
A tal proposito, sono due le considerazioni che vengono in mente. La prima è umana e richiama alla mente un “fazionario talebano” che su Facebook veniva mitragliato anni fa. Poi è morto ed è stata corale la riflessione su quanto si poteva evitare, non si è evitato e non si può più correggere.
La seconda considerazione punta il dito sulla differenza tra il critico d’arte e il pittore, il critico cinematografico e il regista, il cronista e lo sportivo. Fermo restando che “la critica” non fa, ma critica o commenta “chi fa”, e oltre non può andare, è quasi offensivo per le suddette figure essere accomunate a quanto si legge sui social. I signori dei social “attualmente al potere” sono più paragonabili ai critici della domenica, quelli che insultano sui blog dei quotidiani, che urlano in radio dopo la partita, che ringhiano cattiveria a priori sul loro sitarello weebly.
Attenzione, che come è noto nell’almanacco politico di Paperino, voi siete l’estensione immaginaria di un potere. Se vi piace così tanto, state calmi, siate umani e rimanete coerenti.
testo di Daniela Cursi