Scrivi per noi – La monta da lavoro: alle origini del mito western – Parte II

Scrivi per noi – La monta da lavoro: alle origini del mito western – Parte II

La monta da lavoro: alle origini del mito western – Parte II (per leggere la parte I clicca qui)

Di Federica Lavagna

 

(…) La figura del cowboy americano nasce con l’arrivo degli europei nel Nuovo Mondo, che nel XVI secolo importarono nelle Americhe un animale che le popolazioni indigene, non avendo mai visto prima, cominciarono a venerare come una divinità per la sua prestanza fisica, per l’eleganza e la potenza che la sua muscolosa conformazione ispirava: il cavallo.

 

Per spingere i coloni a insediarsi stabilmente nei nuovi territori, infatti, i governi europei finanziarono e agevolarono le aperture dei ranchos, fattorie adibite all’allevamento del bestiame. Per praticare tale attività c’era dunque bisogno di una figura capace di tenere a bada la mandria, di condurla al pascolo attraverso gli immensi altipiani americani, immersi in una natura selvaggia e rigogliosa, per poi portarla nelle città o nei villaggi dove i capi sarebbero stati in seguito venduti.

Il lavoro del cowboy non si svolgeva quindi all’interno dei recinti, come siamo abituati a vederlo oggi, a causa della crescente urbanizzazione dei territori americani, che ha segregato i cowboys in spazi sempre più piccoli e limitati, ma, al contrario, egli trascorreva la maggior parte del suo tempo a contatto con una natura selvaggia e talvolta anche ostile, in un ambiente sconfinato ancora non corrotto dalla mano distruttrice dell’uomo.

 

Per sopportare tali condizioni di vita, il cowboy non solo doveva avere una tempra rigida e che gli permettesse di affrontare qualsiasi ostacolo gli si prospettasse davanti, sia pure morale o concreto – come la fuga del bestiame (stampede) o le condizioni climatiche estreme –, ma seguiva soprattutto una rigida etica di valori, che facevano di lui un vero e proprio uomo degno di chiamarsi tale: rispetto per le donne e i bambini, amore incondizionato verso la natura, l’attaccamento e la costante rivendicazione della propria libertà.

 

Così come l’insieme di valori che caratterizzavano il suo stile di vita, anche l’abbigliamento doveva essere strettamente funzionale alla sua attività: un cappello dalle falde larghe per proteggere la testa dal sole cocente, un fazzoletto al collo per ripararsi dalla polvere o dalla sabbia, dei chaps per coprire le gambe dal contatto con arbusti, e quindi da eventuali graffi o ferite. Non solo: ciò che costituiva l’elemento più caratteristico del cowboy e al quale egli era più emotivamente attaccato erano le attrezzature per cavalcare: la sella doveva essere abbastanza comoda da poterci stare anche una giornata intera, qualora fosse stato necessario, doveva essere fornita di un pomo, a cui attaccare il lazo nei momenti in cui non ne faceva uso, ma pari importanza aveva anche la cura dei finimenti e degli stivali, che dovevano essere minutamente rifiniti e intarsiati, secondo la più antica tradizione spagnola, ripresa a sua volta da quella araba, dalla quale i colonizzatori del Nuovo Mondo erano stati influenzati. Da qui, gli elementi che oggi caratterizzano l’immaginario della figura del cowboy.

 

Punto di congiunzione tra lui e la mandria era poi ovviamente il cavallo, che, come si continua a vedere tutt’oggi nell’esercizio delle discipline western, doveva essere di taglia medio-piccola per agevolare il continuo salire e scendere da sella, con un carattere particolarmente docile e predisposto a un estenuante lavoro, sempre pronto a sacrificarsi per il suo fedele compagno umano.

 

Per rallegrare le sue giornate e concedersi un momento di relax, si dice che il cowboy portasse con sé una chitarra o un’armonica, con cui suonava canzoni malinconiche e nostalgiche nelle notti passate davanti a un bivacco – ed è proprio da qui che nascerà il genere country –, e che fosse solito organizzare piccole gare tra amici quando tornava nel ranch per prendere un’altra mandria.

 

Erano competizioni a livello ludico, che inizialmente nacquero come semplici forme di svago, in cui ciascun cowboy doveva mostrare la sua abilità a cavallo in materia di velocità ed eleganza, ma che poi cominciarono a essere regolamentate come vere gare a livello agonistico, ponendo le basi di quelle che attualmente sono le discipline della monta americana.

 

Purtroppo oggi si va perdendo sempre più quella particolare aura di mistero e di ideali che da sempre ha circondato la figura del cowboy, in favore di una politica che vede il cavallo e l’attività stessa dell’equitazione come fonte di mero guadagno economico e di successi non più intesi come vincita personale, ma come accumulazione di trofei su uno scaffale impolverato.

 

Basti pensare anche solo al fatto che l’equitazione è considerata dai più come una categoria di sport, e già si può comprendere come tale definizione sia diminutiva e indegna di quello che è un vero e proprio life style, per il quale non basta indossare una camicia a scacchi e degli stivali a punta con tanto di sperone, ma bisogna adottare e far proprio un insieme di principi e di valori che caratterizzino la nostra vita e che diventino i punti cardine di un vero e proprio credo.

 

Questo è dunque il cavalcare:  fatica, natura, amore, libertà.

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