Tendini e lesioni dei legamenti: come curarli
Tra le varie patologie a carico dell’apparato locomotore del cavallo, la tendinite è molto comune. Si tratta di una risposta infiammatoria ed un tentativo di riparazione, in seguito alla rottura delle fibre collagene che costituiscono il tendine stesso. Nei cavalli, i tendini maggiormente colpiti dalla patologia sono i flessori (superficiale e profondo) ed il legamento sospensore del nodello, tutti localizzati sulla faccia posteriore degli arti.
Le cause
Le cause di tali lesioni sono molteplici: si va dall’età avanzata dell’animale (nel corso del tempo il tendine è soggetto ad una degenerazione strutturale), all’esercizio fisico intenso e alla forte velocità. Il peso eccessivo e la conformazione degli arti, uniti a terreni di lavoro non idonei o sconnessi e ad una ferratura errata, sono altri fattori scatenanti.
La causa principale, però, risiede nella struttura stessa del tendine, un tessuto dalla scarsa capacità rigenerativa. Ciò significa che un tendine lesionato non ha la possibilità di tornare completamente sano da solo.
Quello a cui tende la medicina oggi, non è semplice guarigione di tendini e legamenti, che rimarrebbero comunque indeboliti, bensì alla rigenerazione della loro struttura nativa.
Nel tendine/legamento, sottoposto a sforzi eccessivi, si creano microlesioni che col tempo sfociano nella patologia propriamente detta. Con l’aggravarsi di queste microlesioni, la struttura non è più in grado di assorbire i carichi di lavoro e ciò dà luogo alla tendinite o desmite (se si parla di lesione ai legamenti).
Siamo nel primo stadio della patologia detto sub clinico: i microdanni tessutali non sono evidenti e la malattia nella fase iniziale non è diagnosticabile perché ancora non sviluppata come tale e priva di sintomi evidenziabili.
Si parla di fase clinica della tendinite, quando si evidenziano i primi sintomi ed è necessario l’intervento del veterinario.
La fase clinica a sua volta si suddivide in tre momenti salienti della lesione a partire dalle prime manifestazioni sintomatologiche: un primo momento definito come fase acuta (0-10 giorni), si passa alla fase sub acuta (dai 10 ai 30-40 giorni) per arrivare alla fase cronica, quando la tendinite è ormai presente da oltre un mese.
I sintomi
I sintomi più eclatanti si manifestano nella fase acuta, con una zoppia abbastanza evidente che spesso spaventa i proprietari, ma che in realtà permette una diagnosi precoce e quindi anche un intervento più tempestivo ed efficace.
Le prime avvisaglie si hanno, quando la zoppia è palese, il cavallo accusa dolore alla palpazione e l’arto è gonfio e caldo. In questo momento, infatti, c’è un’emorragia in corso, accompagnata da un edema, una presenza massiccia di liquidi, causa del gonfiore. Le cellule infiammatorie ed alcuni enzimi, sono i veri responsabili delle alterazioni intrinseche alla struttura tendinea. L’indagine ecografica evidenzia un’area scura nel corpo tendineo che rappresenta la distruzione delle fibre collagene e la presenza di sangue e liquidi.
Terapia
Eseguita la diagnosi, il veterinario valuta caso per caso le modalità d’intervento. In fase acuta, il primo passo è sfiammare il tendine perciò sono necessari riposo, docce fredde e impacchi di ghiaccio, bendaggi compressivi e antinfiammatori non steroidei (più conosciuti con l’acronimo Fans). Può anche essere effettuata una terapia a base di cortisone tra le 24 e 48 ore dalla lesione.
Si può optare anche per la terapia chirurgica, un’operazione chiamata “splitting” con la quale si praticano delle incisioni attraverso la cute e quindi nel tendine in modo da drenare l’ematoma e favorire il rapido assorbimento.
Sfiammato il tendine, il tessuto comincia a lavorare per riformare nuova matrice, ma essendo incapace di auto rigenerarsi, non è in grado di produrre il collagene sano (tipo 1), bensì un collagene che gli si avvicina, di tipo 3. Questa fase si definisce di fibroplasia: la zoppia diminuisce con il venir meno del dolore, ma il tendine aumenta di volume. Si sta formando un tessuto, simile ad una cicatrice, più spesso del normale: è un momento delicato in cui è alto il rischio di riacutizzazione della lesione per la debolezza del tessuto di nuova formazione.
A questo punto è necessario intervenire per ottimizzare il processo di cicatrizzazione: il cavallo deve seguire una ginnastica tendinea controllata (passo a mano quotidiano), favorendo così anche la vascolarizzazione del tessuto. Un costante monitoraggio della situazione clinica con ecografie permette di seguire i miglioramenti, aiutati in questa fase da farmaci, come ad esempio iniezioni di acido ialuronico.
In fase cronica il tendine si rimodella, cerca di rigenerarsi, ma non è in grado, a causa della scarsa presenza di cellule attive in grado di sintetizzare matrice, di compiere le giuste operazioni e il tessuto rimane debole. Se da una parte l’arto interessato torna a dimensioni normali, il tendine non è elastico e questo comporta una limitata capacità di assorbimento dei carichi di lavoro. Il cavallo quindi sarà riluttante ad eseguire certi movimenti e forzando l’esercizio si potrebbe facilmente incorrere in recidive.
Si può intervenire per via chirurgica con un intervento di desmotomia (recisione) delle briglie carpica e tarsica, a seconda se si tratti di lesioni del tendine flessore profondo o superficiale, con lo scopo di aumentare la capacità estensoria del tendine senza gravare sulla struttura stessa. La conseguenza, però, di tale intervento potrebbe essere un danno secondario sul legamento sospensore del nodello che si troverebbe ad assorbire da solo tutto il carico di lavoro.
Terapie innovative
Le terapie innovative entrano in gioco in questo momento, quando il tendine è sfiammato e ha bisogno di un “aiuto specializzato” per completare la rigenerazione.
Si tratta di sistemi che sfruttano le moderne conoscenze mediche e scientifiche per una guarigione qualitativa e funzionale della struttura tendinea/legamentosa. La corsa a tempi di guarigione sempre più rapidi spesso porta a terapie incomplete che non riescono a garantire risultati ottimi dal punto di vista qualitativo.
Quindi, più che parlare di guarigione, si preferisce il termine rigenerazione, un passaggio fondamentale perché si possano evitare ricadute e peggioramenti nel corso del tempo. Bisogna tenere presente che ogni lesione è da valutare e trattare singolarmente e che generalmente i tempi di recupero vanno dai 3 mesi (soprattutto lesioni su base traumatica diretta) ad un anno (per lesioni strutturali).
Tra le metodologie innovative, usate sui cavalli a partire dagli anni novanta, l’onda d’urto permette di agire sulla parte interessata senza interventi invasivi. Un fascio di onde acustiche ad alta energia viene indirizzato sul punto da trattare per ridurre l’edema e far fluire nel tessuto fattori di crescita. Il tessuto è così stimolato a produrre collagene sano, senza che si formi la cicatrice.
Altro metodo è l’uso dei fattori di crescita. Tra i vari fattori, alcuni ancora al vaglio degli studiosi, il più comune è il concentrato piastrinico (PRP). Si esegue un prelievo di sangue al cavallo: una volta in laboratorio il sangue viene sottoposto a lavorazione in sterilità con particolari apparecchiature in grado di dividerne le componenti. Via i globuli rossi e il plasma, rimane un’alta percentuale di piastrine che saranno utilizzate per la terapia.
Il PRP può essere anche congelato a -20°C in modo da creare una riserva e ripetere il trattamento. Ad ogni prelievo, circa il 10% del sangue trattato diventa PRP: a conti fatti, su 60 millilitri, 6 millilitri di PRP sono sufficienti per un ciclo di tre trattamenti.
Il PRP iniettato rilascia quindi un’alta concentrazione di piastrine che si rompono e diffondono i fattori di crescita in componente mista. Questi ultimi nutrono e stimolano le cellule già presenti nel tendine migliorando le potenzialità rigenerative.
Di ultima generazione è anche la terapia cellulare: tra i vari metodi, la palma del più innovativo spetta alle cellule “staminali” di origine adulta. Le virgolette sono d’obbligo, in quanto la comunità scientifica ancora non è arrivata ad una definizione certificata per questo tipo di cellule nei cavalli, a causa dell’assenza di metodi chiari per l’identificazione delle staminali in quanto tali. Ciò nonostante, le cellule ad oggi utilizzate sono in grado di dare ottimi risultati in seno alla patologia di tendini e legamenti.
Le cellule sono ricavate dal midollo osseo, praticando un prelievo dallo sterno con un ago da biopsia: il cavallo viene semplicemente sedato e non addormentato e si esegue facilmente il prelievo con rischi vicino allo zero per l’animale. La comunità scientifica mondiale sta studiando anche il modo per ottenere cellule “staminali” dal tessuto adiposo alla base della coda e dal cordone ombelicale.
Le cellule prelevate vengono coltivate in laboratorio per circa tre o quattro settimane al fine di aumentare il loro numero e fornire una dose terapeutica che viene iniettata direttamente nella lesione ed il processo di stimolazione cellulare prende il via.
Ad oggi si utilizzano cellule provenienti dal medesimo cavallo a cui è indirizzata la terapia, il futuro ci porterà a poter utilizzare cellule da cavalli donatori e creare banche cellulari per la cura di varie patologie.
Vari studi hanno sottolineato gli ottimi risultati ottenuti con le terapie innovative sui cavalli, anche su quelli da corsa, cosa che fa ben sperare per il futuro. In ogni modo, è sempre meglio prevenire controllando i fattori predisponenti come un esercizio eccessivo, sovraccarichi (peso corporeo e velocità), ferrature ottimali per ogni soggetto e disciplina sportiva e terreni di allenamento idonei.
Articolo a cura di Arianna Lovati, medico veterinario e ricercatore di Scienze Cliniche presso l’Università di Milano. Arianna Lovati è a disposizione per rispondere alle vostre domande all’indirizzo e-mail: arianna.lovati@unimi.it
Foto http://www.flickr.com/photos/emmepi79/457720814/