
Non è andata come speravamo, è ovvio. Ma nemmeno come avremmo meritato, visto che per quattro quinti di una gara di spaventosa intensità – come è tradizione dell’endurance – abbiamo avuto virtualmente la medaglia di bronzo al collo.
Agli Europei di Florac, l’Italia dell’endurance deve accontentarsi del quarto posto, dietro nell’ordine a Francia, Spagna e Belgio, beffata nell’ultimo anello dalla rimonta dei belgi, dopo avere a lungo e leggittimamente accarezzato il sogno di salire sul podio continentale. Cifre alla mano, l’Italia non ha conquistato il bronzo per un’autentica inezia: dieci minuti su trenta ore di gara, il mostruoso totale che si raggiunge sommando i percorsi degli azzurri.
Più che comprensibile l’amarezza dell’èquipe azzurra, una volta ricevuto il verdetto finale. Ma, analizzando a mente fredda l’avventura di Florac, è emersa la consapevolezza di aver comunque fornito nel complesso una prestazione di altissimo profilo tecnico e agonistico in una competizione che ha presentato difficoltà che si fa fatica a descrivere.
Nessun trionfalismo, per carità, ma nemmeno eccessivo abbattimento nella spedizione, guidata in Francia dal direttore sportivo David Holmes e dal tecnico Denis Pesce, dai veterinari Daniele Gagliardi e Alfredo Greco, da Rocco De Nicola, presidente del comitato regionale Abruzzo, e anche dal presidente della FISE, Andrea Paulgross, che ha raggiunto la spedizione azzurra alla vigilia della gara, cenando con gli atleti, vivendo da vicino le ultime delicatissime ore di ricognizioni, di analisi, di programmi.
Dopo tante attese (e le non poche vicissitudini che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di vita dell’endurance, disciplina la cui struttura, dopo mille polemiche, è stata oggetto a inizio agosto di un coraggioso rimpasto da parte della FISE), la parola, ieri, è passata alla gara vera e propria, incarnata da un territorio magnifico, probabilmente unico in Europa e nel mondo, quanto insidioso: quello appunto di Florac, il piccolo bellissimo centro della Francia meridionale, nel sud del massiccio centrale, nel cuore della Linguadoca-Rossiglione. Il Parc de Cevennes, lo straordinario parco naturale (oltre 1500 chilometri quadrati di foresta protetta, patrimonio dell’umanità per l’Unesco) che ha ospitato questa edizione degli Europei di endurance è un paradiso che può trasformarsi in inferno. Come l’endurance, del resto. Disciplina bella e spietata, che non a caso in Europa affonda le sue radici nelle marce di resistenza effettuate dagli ufficiali di cavalleria su percorsi massacranti e negli Stati Uniti addirittura nella tradizione dei pony-express dell’Ottocento, veri pionieri della disciplina. Una sfida micidiale, un confronto mozzafiato con sé stessi, con la natura, con il cavallo, il protagonista silenzioso e fondamentale di questa prova disseminata di insidie, non a caso oggetto di costanti controlli sanitari ai diversi vet-gate previsti lungo il percorso.
Il tracciato che ha fatto da teatro agli Europei non ha fatto certo eccezione alla tradizione dell’endurance. Ricalcava ovviamente quello della classica francese, la celebre 160 chilometri di Florac, e ha confermato in pieno tutta la sua asprezza. Partenza e arrivo a Ispagnac, la vetta del monte Aigoual da scalare, arrampicandosi fino a quota 1559 metri durante la terza fase di gara, 4500 metri di dislivello totale, un costante sovrapporsi di asperità, boschi, vallate, radure, risalite, passaggi su antichi ponti romani – proprio come quello, non a caso temutissimo, di Ispagnac – del tutto privi di paratie laterali. Scenari alpini ma, come hanno riferito i nostri testimoni azzurri, per molti versi addirittura simili, per l’aspetto selvaggio della natura, agli altopiani della Mongolia.
La kermesse, che abbiamo seguito passo passo – in un crescendo di emozioni e nel finale, ahinoi, di amarezza – in contatto costante con la Francia e grazie alla tempestiva cronaca minuto-per-minuto fornita dal sito sportendurance.it dell’amico Luca Giannangeli, è partita diverse ore prima dell’alba, per la precisione alle 4,30 del mattino. Per l’Italia, in campo i sei binomi annunciati: Danilo De Angelis/Present Jey, Emanuele Fondi/Felicidad, Diana Origgi/Pervinca della Bosana e Alfonso Striano/Waligora gareggiano per la squadra, Simona Garatti/Badir dell’Orsetta e Carlo Di Battista/ Fluminio per l’individuale.
In totale, ottantadue i concorrenti al via. Subito in evidenza due sicuri protagonisti della durissima sfida, l’arabo Ali Khalfan Al Jahouri sul bellissimo Kalifa, poi dominatore dell’open e la spagnola Maria Alvarez Ponton, che si laurerà ancora una volta campionessa d’Europa. In testa per l’Italia, sin dal primo anello, Diana Origgi sulla sua Pervinca della Bosana.
Grande l’emozione azzurra, quando il sole ha cominciato a illuminare la gara, poco prima della fine del secondo anello, Carlo Di Battista che gareggia nell’individuale (come la Garatti, a lungo brillantissima) è settimo e Diana decima. Se tutto finisse adesso, il messaggio scambiatoci incrociando le dita, sarebbe medaglia di bronzo per gli azzurri: ma a Florac sono da poco scoccate le 9 del mattino, la strada da compiere purtroppo è ancora lunghissima, e all’orizzonte già si allunga l’inquietante silouhette del monte Aigoual.
Il terzo giro finisce un paio di ore dopo. Tutto a posto al terzo vet-gate per i sei azzurri. Diana Origgi è ottava, Emanuele Fondi 29°, Alfonso Striano 33°, De Angelis 36°.
Al quarto anello, ormai attorno alle 15, il bronzo virtuale fa sognare la spedizione italiana, guidata dal tesissimo presidente Andrea Paulgross (“Meriteremmo proprio questa medaglia, i ragazzi ce la stanno mettendo tutta”). Diana continua la sua splendida prova, galleggiando con orgoglio tra la quarta e la quinta posizione, il romano Fondi tiene la posizione entro i primi trenta, Simona Garatti nell’individuale è al 16° posto. Peccato per gli altri, che hanno pagato un prezzo altissimo alla durezza dell’Aigoual.
La partenza per l’ultimo anello è attorno alle 16,30. Pervinca sta bene, Diana è ancora quinta: purtroppo dovrà rallentare, giustamente preoccupata dall’accumulo di fatica. Sta meno bene Badir, il cavallo della Garatti, che infatti viene fermato per cuore tre quarti d’ora dopo. Più o meno alla stessa ora, la Ponton ribadisce il suo strapotere: è ancora lei la campionessa d’Europa di endurance; mentre – come detto – il cavaliere degli Emirati, Ali Khalfan, stravince l’open.
Ecco comporsi, allora, il podio individuale degli Europei 2011: prima come detto Maria Alvarez Ponton su Nobby per la Spagna, seconda Sabrina Arnold su Beau Ox (Germania), terzo per la Francia padrona di casa Pierre Fleury su Kergof. Ma per determinare con precisione le classifiche, come sempre in questa disciplina, tocca aspettare, verificare con cura eliminati e ritirati, lanciarsi in intricatissimi conteggi.
Sono le 17,43, quando Diana Origgi chiude la sua fatica in decima posizione. E’ settima in Europa ed è un gran risultato. Davvero magnifica la sua gara in sella a Pervinca. Un’altra interminabile mezzora ed ecco sul traguardo Emanuele Fondi, che chiude 20°. Gettando alle ortiche qualsiasi scaramanzia, continuiamo a sperare nel piazzamento di squadra. Ci fredda l’annuncio dell’arrivo di tre cavalieri belgi in fila indiana: 16°, 17° e 18°. Siamo solo quarti, purtroppo. Ma con grande onore.
(Nella foto da Florac, la presentazione della squadra azzurra di endurance)
comunicato Fise