
Il mondo dell’equitazione entra da domani in conclave. Sul tavolo degli Stati Generali del cavallo, due temi caldissimi: l’approvazione del nuovo regolamento antidoping e, soprattutto, l’elezione del presidente che guiderà l’organismo internazionale fino a dopo i mondiali del 2014 in Normandia.
Inutile dire che è proprio quest’ultimo l’argomento-chiave della mega riunione che si apre domattina (in programma, prima dell’attesa presentazione dei candidati alla presidenza, i vari report su Londra 2012, gli Yog disputati in estate a Singapore, i WEG di Lexington, i nuovi regolamenti FEI), per chiudersi venerdì, con la sfilata dei delegati nell’urna elettorale, la proclamazione del presidente, la consegna dei FEI awards e la canonica cena di gala.
Curiosità, in ogni caso, anche per il sempre delicatissimo tema-doping. In ballo, ovviamente, l’approvazione o meno della progressive list, ovvero l’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei. Da stabilire se rimarrà in vigore la tolleranza zero (nessun farmaco ammesso) o se sarà consentito l’utilizzo di medicine a esclusivo fine terapeutico, ovviamente sotto rigoroso controllo medico. Dibattito aperto, assai forti le spinte per ammorbidire le norme approvate a Copenaghen un anno fa.
Il cielo di Taipei, la capitale di Taiwan scelta – non a caso – per questa assemblea generale della FEI, minaccia tempesta. Ma resta comunque difficile pensare che uno tsunami politico finisca per abbattersi sul vertice della Federazione equestre internazionale. A puntare su quest’angolo dell’Asia che fa da ponte tra l’antica tradizione e il formidabile progresso della Cina è stato il presidente uscente, la principessa Haya Al Hussein: un modo per spostare la contesa sul terreno amico, visto che a sfidarla sono due candidati europei, il primo vice presidente della FEI, lo svedese Sven Holmberg, e il businessman olandese, Henk Rottinghuis.
Haya, figlia del defunto re Hussein di Giordania e moglie dello sceicco Mohammed Bin rashid Al Maktoum, primo ministro degli Emirati Arabi e governatore di Dubai, quattro anni fa ha in effetti spezzato il lungo dominio del Vecchio Continente nel controllo della FEI. Un dominio avviato nel ’21 dal barone francese Jen-Paul du Teil, generale dell’artiglieria assai vicino a Napoleone, e chiuso appunto nel 2006, con il quadriennio di presidenza di Maria del Pilar de Borbòn, infanta di Spagna. Prima di Haya, solo a cavallo tra il ’31 e il ’35 un extraeuropeo ha guidato la Federazione equestre internazionale: Guy Vernon Henry junior, generale dell’esercito statunitense, figlio dell’Henry governatore di Porto Rico alla fine dell’Ottocento, bronzo nel completo alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912.
Anche Haya ha alle spalle significative esperienze in campo equestre. Bronzo nel salto nel ’92 ai Giochi Panarabi, atleta dell’anno in Giordania nel 1993, ha partecipato ai Giochi Olimpici di Sydney nel 2000 e ai WEG di Jerez de la Frontera nel 2002. Nelle prossime ore, proverà a scavalcare l’ostacolo politico che le oppongono i poteri forti dell’Europa disarcionata quattro anni fa. Le nazioni che più pesano nel Vecchio Continente, le stesse che hanno promosso a febbraio di quest’anno la nascita della EEF, European Equestrian Federation, presieduta dal tedesco Haring, spingono per un ritorno all’antico: tanto per essere chiari, a uno scenario il più possibile simile a quello che vide dominare la Gran Bretagna sul mondo equestre addirittura per un trentennio, dal 1964 al 1994, prima sotto la presidenza del principe Filippo d’Edimburgo, poi della principessa Anna d’Inghilterra.
Haya, che ha dalla sua l’Asia e buona parte delle non poche realtà che mal digeriscono l’idea di un ritorno all’antico, gode anche di qualche appoggio in Europa: quello della FISE, ad esempio, che con il presidente Andrea Paulgross non ha mai nascosto il suo apprezzamento per il lavoro svolto dalla bella principessa giordana. Il presidente federale è a Taipei da un paio di giorni, assieme al direttore sportivo David Holmes. Gli amanti delle scommesse – se ne fanno anche in queste occasioni, manco a dirlo – concedono i favori del pronostico al presidente uscente, che potrebbe essere avvantaggiato anche dalla sfida intestina tra Holmberg e Rottinghuis: se il voto dell’Europa si divide, Haya si avvantaggia nettamente. Del primo rivale, svedese, abbiamo accennato: è vice presidente FEI uscente, è nel comitato internazionale del jumping dal 2005, è un giudice assai stimato, è stato chef d’èquipe per la Svezia nel dressage a due Olimpiadi e due Mondiali. L’olandese Rottinghuis, nella vita facoltoso uomo d’affari, ha a sua volta gareggiato nel dressage, poi è stato giudice e organizzatore (specie negli attacchi), dirigente della federazione del suo Paese, ideatore di quello che viene considerato il più grande evento equestre mai consumato in un solo giorno: 700 cavalli impegnati nel saluto reale per il 25° Giubileo della regina Beatrice. Può pesare non poco il timore di una restaurazione, specie tra i Paesi emergenti, che vedono sempre più in prima fila il mondo arabo.
Si vota venerdì, dalle 9 alle 17,30, ora di Taipei (7 ore di fuso orario: da noi quando verrà proclamato il vincitore saranno le 10 del mattino): per essere eletti servono i due terzi delle preferenze nel primo e nell’eventuale secondo ballottaggio; in caso di una terza votazione, basterà il 50 per cento più uno dei suffragi. Haya, insistiamo, parte favorita. Anche perché, si sa, il potere logora soprattutto chi non ce l’ha. Ma l’urna, si sa, ha umori sempre vari e non di rado addirittura sconci: il conto alla rovescia è appena partito, tra poco più di quarantott’ore ne conosceremo l’esito.
comunicato Fise